L’Alzheimer’s Association americana premia la ricerca dell'Università di Pavia
Una ricerca coordinata da Cristina Lanni, Professore Associato del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell'Università di Pavia si è aggiudicata un finanziamento di circa 200mila dollari dell’Alzheimer’s Association Americana, una delle principali organizzazioni a livello internazionale impegnate nella lotta contro la malattia di Alzheimer e nel sostegno ai pazienti affetti da tale patologia.
Lo studio premiato si inserisce nel quadro delle ricerche che indagano l’asse “intestino-cervello” e mirano a comprendere i meccanismi biologici che rendono più suscettibili pazienti affetti da patologie infiammatorie intestinali a sviluppare malattie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer, ma anche il morbo di Parkinson.
Il contesto è quello dei complessi rapporti che esistono tra corpo e mente e fanno sì che condizioni apparentemente lontane, come una malattia intestinale e una malattia del cervello, siano invece in relazione attraverso meccanismi biologici complessi che oggi possono essere studiati. Certe intuizioni che nel passato costituivano una sorta di narrazione interessante, ma con poche prove scientifiche, diventano oggi nuove frontiere della ricerca molecolare e applicata.
Il cervello, come altri organi, nel corso della propria attività, che è continua e sempre elevata (si ricordi che questo organo che vale circa il 2% in peso del corpo umano consuma il 20% dell’energia), produce “rifiuti” metabolici di varia natura che devono essere eliminati. Il sistema che compie questo lavoro di “pulizia” si basa su movimenti di fluidi, controllati e bilanciati in maniera ritmica giornaliera, attivi soprattutto durante le ore del sonno. Nel complesso tale sistema è stato denominato sistema glinfatico perché vede la partecipazione della glia e del sistema linfatico.
La domanda centrale della ricerca è capire se e come una condizione infiammatoria che colpisca il tratto gastro-intestinale possa compromettere la fine ritmicità giornaliera dei meccanismi che controllano il sistema di pulizia a livello del cervello ed essere quindi un fattore scatenante i primi segni di neurodegenerazione. L’ipotesi specifica del gruppo di ricerca coordinato da Cristina Lanni è che un insulto infiammatorio a livello intestinale danneggi questo fine sistema, attraverso molteplici segnali, che dalla periferia raggiungono il cervello promuovendo l’insorgenza di eventi neurodegenerativi.
Cristina Lanni, grazie al finanziamento internazionale ricevuto, valuterà gli effetti sul cervello dell’alterato flusso di informazioni dall’intestino attraverso l’impiego di modelli sperimentali animali che mimano lo stato infiammatorio della colite, e di tecniche all’avanguardia (imaging in vivo su animale, come le risonanze magnetiche che si usano in clinica, tecniche di biologia molecolare per individuare i geni e le proteine coinvolte).
La ricerca stabilirà anche la soglia (per es. la finestra temporale) oltre la quale l’alterazione della dinamica dei fluidi cerebrali e la conseguente capacità di eliminazione dei prodotti di scarto diventerà non più recuperabile, promuovendo l’avvio di un processo auto-sostenentesi, prodromico di eventi neurodegenerativi.
I dati derivati da questa ricerca sono fondamentali per comprendere gli eventi precoci di deragliamento alla base di patologie neurodegenerative, quali la malattia di Alzheimer. La ricerca finanziata è innovativa anche perché supera vecchi paradigmi della ricerca, che per anni ha focalizzato la sua attenzione principalmente su molecole, come beta amiloide e proteina tau, riconosciute e utilizzate come marcatori di malattia, o sui neurotrasmettitori.
Ora l’orizzonte si allarga a capire come lo stato di infiammazione di un organo possa avere ricadute in distretti differenti da quelli immediatamente colpiti, generando semi iniziali di eventi di neurodegenerazione.
L’epidemiologia già da tempo ha suggerito che l’ambiente esterno (stile di vita, alimentazione, solitudine, ecc.) e interno (le altre malattie, gli stati di infiammazione) possano contribuire all’esordio delle malattie neurodegenerative. La ricerca finanziata permetterà di descrivere nel dettaglio i meccanismi sottesi a una di tali relazioni e comprendere i meccanismi significa anche poter individuare nuovi modi di intervento.